Apriamo questo spazio a teatri chiusi, in un momento straniante che costringe a raccogliersi e reinventarsi dentro le mura domestiche. Sono tante le domande provocate da questa attesa di cui non vediamo i confini, permeate dall’umano bisogno di resistere alla staticità e all’isolamento. È un tempo di rottura, in cui anche la comunità artistica si è interrogata sulla propria capacità di resilienza e sulla propria funzione sociale; primo fra tutti il Teatro che nasce come massima espressione della collettività, come centro aggregativo della pólis, e mantiene nel corso della storia un ruolo pedagogico. Quanto è forte, oggi, il bisogno di sentirci comunità.

Ma se è vero che la teatralità porta all’aggregazione, l’aggregazione è consequenzialmente necessaria alla teatralità?

Forse sì. Chiediamoci, però, cosa significhi “aggregarsi” in questo tempo nuovo. I teatri italiani stanno rispondendo a modo loro, cercando altri mezzi per creare quell’inestricabile rete di relazioni che è alla base del sistema spettacolare. La cultura tutta si fa communitas, dal latino cum-munus, ‘dono reciproco’. Il munus si distingue dal donum – termine che indicava sia il regalo dato sia quello ricevuto – perché contiene la radice dell’obbligo e della ritualità: è un dono doveroso. Nel periodo di emergenza che stiamo attraversando, il Teatro ha il dovere civico di donarsi gratuitamente, per aiutarci a elaborare la paura. 

Il Teatro Comunale di Bologna ha reagito, scegliendo di proporre al pubblico a casa la diretta streaming di tre opere messe in scena durante la stagione 2018/2019, che rimarranno visibili sul canale YouTube: 

  • sabato 14/03/2020, ore 21.00 ➞ Rigoletto, di Giuseppe Verdi (regia: Alessio Pizzech; direttore: Matteo Beltrami).
  • sabato 21/03/2020, ore 21.00 ➞ La Traviata, di Giuseppe Verdi (regia: Andrea Bernard; direttore: Renato Palumbo).
  • sabato 28/03/2020, ore 21.00 ➞ Il barbiere di Siviglia, di Gioachino Rossini (regia: Federico Grazzini; direttore: Federico Santi).

Inoltre, domenica 22 marzo, alle ore 11.00 verrà trasmesso lo Stabat Mater di Rossini, registrato dall’orchestra del Comunale il 24 maggio 2018 nella sala dell’Archiginnasio di Bologna, proprio dove Gaetano Donizetti lo diresse nel marzo del 1842. 

L’Ottocento è il secolo dell’opera d’arte totale wagneriana, del melodramma e del dramma musicale, il momento di massima fioritura del teatro all’italiana che, per la sua conformazione in platea e palchetti, consente una vasta affluenza e permette realizzazioni scenografiche tali da lasciare il pubblico a bocca aperta. Prende forma la cosiddetta “scena costruita” in cui si riproducono spazi realistici: per la prima volta abbiamo mobili veri sul palco, scenografie a più piani, scale, ascensori. Niente a che vedere con il fondale dipinto settecentesco. Il Teatro vuole sempre di più rispecchiare la realtà e unisce il nuovo pubblico borghese: torna ad essere un’istituzione civica che si preoccupa di formare le coscienze e di costruire un sentire unitario che, in Italia, culminerà nei moti risorgimentali. La lirica è il principale divertimento della neonata classe dirigente borghese e si diffonde in maniera capillare, dai grandi teatri delle città più importanti sino ai più piccoli centri di provincia, dove si costituiscono numerosissimi teatri, secondo un fenomeno che Claudio Meldolesi ha definito «campanilismo teatrale italiano». Quest’epoca d’oro finisce, però, con la rivoluzione del 1848. Le lotte nazionaliste e le conseguenti repressioni reazionarie hanno un forte impatto sulla vita teatrale: il cachet diminuisce e la censura si fa sempre più pesante. La situazione migliorò a partire dal 1853 – anno de La Traviata – ma non si ritrovò più la condizione precedente. Con l’Unità d’Italia (1861) e la mancanza di fondi destinati a sostenere un sistema costoso come l’opera, portò a una notevole precarietà degli enti lirici tra il 1870 e il 1880, fino alla loro temporanea chiusura. Questo provocò la crisi dei ripetitori provinciali e la conseguente scomparsa della vita musicale al di fuori dei grandi centri.

Giuseppe Verdi (1813-1901) vive l’Italia del prima e del dopo Unità, e canta gli animi di un paese frammentario, riuscendo a mettere in musica preoccupazioni e valori di un popolo nuovo in un tempo nuovo: un altro tempo di rottura. 

Appare, quindi, non casuale la scelta del TCBO, che ricade su due opere della cosiddetta trilogia popolare verdiana, della quale fa parte anche Il trovatore.

Rigoletto e Traviata hanno molto in comune, a cominciare dal librettista: Francesco Maria Piave, secondo dei quattro librettisti di Verdi. La sua collaborazione con il compositore durò dal 1843 al 1867, quando venne colpito da una paralisi, e gli si devono anche: Ernani, I due Foscari, Macbeth, Il Corsaro, Stiffelio, Arnoldo, Simon Boccanegra, e Forza del Destino

Inoltre, sia Rigoletto che Traviata rappresentano uno spazio sociale che causa l’emarginazione del protagonista. Rigoletto, buffone alla corte ducale di Mantova, lavora in un mondo di piacere che gli è estraneo e che detesta. Anche Traviata, Violetta, prostituta redenta dall’amore, vive per mestiere in un mondo di piacere che anima la sua finta allegria, ma questo le rimane estraneo, perché è ossessionata da una purezza innocente, una dimensione fortemente onirica non più recuperabile: Violetta non appartiene davvero all’ambiente parigino e il mondo cui aspira, ormai perduto, non può essere ricreato. Come ha osservato Gilles de Van in Verdi. Un teatro in musica, entrambe le opere suggeriscono in verità tre spazi: quello della festa, quello dell’amore e quello dell’intimità. Altro punto in comune è il procedere speculare di ogni atto delle due opere tra lo spazio della festa (a) e quello dell’intimità (b), semplificabile con il seguente schema: AbA+AB+BaB. Persino l’epilogo rievoca sensazioni sovrapponibili, ovvero la solitudine, l’abbandono e il dolore condivisi da Gilda e Violetta. Nel corso di tutta la produzione verdiana emerge, infatti, l’interiorità dei personaggi, che si sostituisce al piano unico dell’epopea.  A poco a poco, eventi e sentimenti iniziano a susseguirsi in uguale dimensione, con una molteplicità di piani; i primi sono semplici e netti, i secondi più ricchi di implicazioni. La chiarezza dello svolgimento si oppone, quindi, alla complessità dei sentimenti e l’interiorità intacca l’evidenza dell’universo melodrammatico di Verdi, che si confronta con personaggi sempre più complessi e sfaccettati. Sullo svolgimento dell’intreccio si aprono allora due prospettive, una esteriore e una più intima, che tenta di suggerire il loro mondo interiore. Parallelamente, lo sviluppo del discorso orchestrale aiuta a rendere visibili queste zone dell’anima frastagliate d’ombra, grazie alla musica che prolunga la parola con vibrazione passionale. La dicotomia esteriorità-interiorità colpisce anche nell’evoluzione del recitativo: in principio questo sembra servire soltanto a fare un brusco e energico punto della situazione, poi il “parlato” comincia a esteriorizzare intenzioni e movimenti, diventando sempre più frequente. Anche ritmo drammatico si diversifica e risulta evidente l’importanza dei passaggi in cui è rallentato; in genere, quando i giochi sono fatti e l’ineluttabile si avvicina, si instaura un’ambigua quiete. 

LA TRAVIATA | 28 aprile 2019

Durata: 120 minuti

REGIA: Andrea Bernard
DIRETTORE: Renato Palumbo
CAST: Luisa Tambaro (VIOLETTA VALÉRY), Aloisa Aisemberg (FLORA BERVOIX), María Caballero (ANNINA), Wang Chuanyue (ALFREDO GERMONT), Angelo Veccia (GIORGIO GERMONT), Rosolino Claudio Cardile (GASTONE, VISCONTE DI LETORIÈRES), Paolo Marchini (IL BARONE DOUPHOL), Riccardo Fioratti (IL MARCHESE D’OBIGNY), Francesco Leone (IL DOTTOR GRENVIL), Enrico Picinni Leopardi (GIUSEPPE), Sandro Pucci  (UN COMMISSIONARIO), Raffaele Costantini (UN DOMESTICO DI FLORA)
SCENE: Alberto Beltrame
COSTUMI: Elena Beccaro
LUCI: Andrea Bernard, Daniele Naldi
RIPRESE LUCI: Daniele Naldi
MOVIMENTI COREOGRAFICI: Marta Negrini
MAESTRO DEL CORO: Alberto Malazzi
REGIA STREAMING: Maurizio Tarantino
MONTAGGIO E RIPRESE AUDIO DAL VIVO: Roberto Ranzi, Emiliano Goso

È il 6 Marzo del 1853 quando presso il Teatro La Fenice di Venezia si alzarono i sipari per la grande prima de La Traviata, opera lirica in tre atti, composta dal maestro Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave. L’opera – compresa nella già citata “trilogia popolare”, insieme a Rigoletto e Il trovatore – ha come modello di partenza la commedia teatrale La Dame aux camélias (1853) di Alexandre Dumas figlio, a sua volta adattamento dell’omonimo romanzo (edito nel 1848) dello stesso autore francese.

Conosciamo La Traviata come una delle più rappresentate opere liriche al mondo, eppure stupirebbe apprendere che l’indomani della primissima, lo spettacolo fu un vero e proprio insuccesso, per via di interpreti inadatti. Verdi stesso scrisse:

La Traviata ha fatto un fiascone e peggio, hanno riso. Eppure, che vuoi? Non ne sono turbato. Ho torto io o hanno torto loro. Per me credo che l’ultima parola sulla Traviata non sia quella d’ieri sera.

E il Maestro, infatti, fu previdente: un anno dopo la prima rappresentazione, il 6 Maggio del 1854, presso il Teatro San Benedetto di Venezia, La Traviata venne rappresentata una seconda volta, ottenendo il successo e la consacrazione con cui noi la conosciamo ancora oggi, a quasi due secoli di distanza. 

La vicenda

L’atto I si apre con un Preludio, a cui segue la rappresentazione di una scena di vita mondana presso la casa di Violetta Valery (soprano), una giovane cortigiana dell’alta borghesia parigina, gravemente malata di tisi. Durante i festeggiamenti, gli viene presentato Alfredo (tenore), già suo ammiratore. Rimanendole accanto dopo un terribile malore dovuto alla malattia, il giovane le rimprovera dolcemente la vita sfrenata che conduce e le dichiara il suo amore:

Di quell’amor ch’è l’anima

Dell’universo intero,

Misterioso, altero,

Croce e delizia al cor

Questo tema cantato per la prima volta da Alfredo ritornerà spesso nel corso dell’opera, specialmente nelle parti di Violetta, che rimane colpita e sorpresa dal sentimento del giovane e dalle sue parole; decide di regalargli una camelia, invitandolo a tornare da lei quando sarà appassita. All’alba gli invitati se ne vanno e Violetta, rimasta sola, nota con stupore che le parole di Alfredo l’hanno scossa nel profondo, intonando l’aria “E’ strano…” a cui seguono le incantevoli “Follie! Follie!” e “Sempre libera”.

Nell’atto II, la scena si svolge in una villa di campagna: dopo tre mesi dal loro incontro, Alfredo e Violetta vivono felicemente il loro amore. Il giovane pensa con tenerezza all’amore che la donna nutre per lui, finché non scopre che lei ha dovuto impegnare i suoi averi per far fronte alle spese; Alfredo decide di tornare a Parigi per trovare una soluzione. Violetta, rimasta da sola in casa, entra in scena e apprende che la sua amica Flora l’ha invitata, tramite lettera, ad una festa che si terrà la sera stessa. Qui la giovane riceve l’inaspettata e improvvisa visita del padre di Alfredo, Giorgio Germont (baritono). Inizia un appassionato duetto tra i due, in cui Germont, le chiede un sacrificio: Violetta deve rinunciare ad Alfredo per salvare il fidanzamento dell’altra sua figlia, messo a rischio dal legame scandaloso con una mantenuta all’interno della famiglia. Violetta dapprima accetta di allontanarsi per qualche tempo da Alfredo, ma quando apprende che dovrà abbandonarlo per sempre, si oppone in nome del loro amore. Germont la convince subdolamente e lei tristemente accetta, promettendo di non raccontare del loro incontro ad Alfredo. Uscito di scena Germont, Violetta è intenta a scrivere la lettera d’addio, ma rientra Alfredo, che agitato le comunica che suo padre vuole fargli visita. La donna, mantenendo il segreto sul colloquio appena avvenuto, si fa giurare l’amore di lui, con il celeberrimo “Amami, Alfredo”, e fugge. Il giovane riceve la lettera d’addio e crolla in uno sconforto che non avrà risoluzione nemmeno con le consolazioni del padre Germont, appena rientrato in scena e intento a risollevare il figlio e condurlo con sé; Alfredo però vede l’invito di Flora sul tavolo, capendo che Violetta quella sera andrà alla festa, e, infuriato, decide di recarvisi anche lui.

La scena cambia e ci troviamo alla festa presso la casa di Flora, dove già si vocifera della separazione tra i due innamorati. Durante i festeggiamenti carnevaleschi, irrompe Alfredo, e successivamente Violetta arriva accompagnata dal Barone, ma rimane profondamente turbata dalla presenza dell’amato. Alfredo intanto gioca a carte mostrando una malcelata indifferenza nei suoi confronti, condita da provocazioni indirette, scatenando così l’ira del Barone, che vorrebbe sfidarlo a duello. Preoccupata per le sorti di Alfredo, la giovane gli chiede un colloquio privato, durante il quale lo supplica di andare via e, mentendogli, dice di essere innamorata del suo nuovo accompagnatore. A queste parole Alfredo, indignato e ferito, convoca tutti gli invitati, e in un gesto d’ira, getta una borsa di denaro ai piedi di Violetta, asserendo di averla dunque pagata. La giovane sviene mentre il violento gesto suscita lo sdegno generale, in particolare nel padre Giorgio Germont, appena giunto alla festa, che lo rimprovera aspramente, senza però svelargli la verità. La donna, rinvenuta, dichiara ancora una volta il suo amore per Alfredo che, ormai pentito della sua ignobile azione, è sfidato a duello dal barone. Tutte le voci dei personaggi di uniscono nel largo concertato che chiude il Secondo Atto.

Nell’atto III, il sipario rimane aperto sulla stanza di Violetta mentre viene eseguito un nuovo Preludio (che si rifà al primo, seppur con importanti differenze). La giovane è ormai costretta a letto per l’aggravamento della tisi che “non le accorda che poche ore”; sola nella sua stanza, rilegge una lettera nella quale Giorgio Germont la informava di aver rivelato la verità ad Alfredo e che il suo amato sta tornando da lei. Verdi accompagna il parlato della protagonista con un violino solista che accenna il canto d’amore di Alfredo dell’atto I “Di quell’amor ch’è palpito”. Violetta sa che è troppo tardi ed esprime la sua disillusione nella struggente aria “Addio, del passato bei sogni ridenti”. Dalla finestra, udiamo l’impazzare del carnevale, come un ricordo lontano e disinteressato della vita mondana passata. Giunge Alfredo, che entrando abbraccia teneramente Violetta, promettendole di portarla con sé lontano da Parigi, nell’appassionato cantabile “Parigi, o cara”. Violetta, però, ha un malore e si rende conto che, se nemmeno il ricongiungimento con l’amato l’ha salvata, probabilmente niente la salverà. Giunge improvvisamente anche Giorgio Germont, che manifesta disperato il suo rimorso. Violetta lo perdona e chiama a sé Alfredo, lasciandogli un medaglione con la sua effigie, chiedendogli di ricordarsi sempre di lei. Per un momento Violetta sembra riacquistare le forze, sulla melodia del canto d’amore di Alfredo dell’atto I, si alza dal letto, ma subito cade morta sul canapè.

 Verdi e Bernard

Se il dramma francese fornisce al librettista Piave la struttura drammatica, il romanzo invece, descrivendo la vicenda da un punto di vista esterno, contiene indicazioni esplicite sul carattere, sulla vita, sul dramma, sul destino e sulla psicologia di Violetta, decadute nella dramma, ma rispecchiate ora dalla musica del Maestro. Infatti, La Traviata gode dell’elemento musicale come privilegio, per via della sua carica simbolica ed evocativa; è indiscutibile l’abilità verdiana di conferire alle melodie e al canto esclusive capacità rappresentative di situazioni, ma soprattutto di emozioni, di interiorità e di sentimenti.

Questo espediente musicale è riscontrabile già nel Preludio dell’opera, che si presenta come un vero e proprio ritratto musicale della protagonista, la traviata Violetta Valéry. L’ornamentazione musicale è scandita infatti in tre melodie diverse: una prima, caratterizzata da pochi violini, che evocano l’immagine della fragile donna malata di tisi (questo tema verrà ripreso nel Preludio dell’atto III); un secondo tema ci richiama Violetta in tutta la sua affascinante bellezza, con un suono esangue, consunto ma avvolgente, tanto da comprendere tutta l’orchestra in un terzo tema, che diverrà ricorrente e significativo nel corso dell’opera: il tema dell’illustre “Amami, Alfredo”. Il Preludio evoca immagini e sensazioni, richiamando sia la malattia sia il sentimento amoroso: amore e morte da subito vengono accostati e saranno gli aspetti fondamentali di tutta l’opera, connessi insieme dal sacrificio compiuto da Violetta.

La Traviata è un trittico mitologico di amore, sacrificio per amore e per assecondare la morale borghese e la morte, in cui l’eroina è la protagonista Violetta, che, nelle mani di Verdi, diviene intensamente umana e allo stesso tempo eroica. Della protagonista sono indagati e rappresentati gli stati d’animo, i sentimenti, le angosce e il dolore; al contempo ne viene rappresentata l’evoluzione psicologica interiore attraverso vari registri musicali. L’animo di Violetta è nella melodia.

Il Preludio dell’atto III è assegnato ad alcuni violini che introducono alla scena a sipario aperto sulla stanza della malata. L’effetto timbrico produce la sensazione fisica della malattia e accompagna i movimenti a più riprese della giovane in fin di vita. La melodia, ancora una volta, rappresenta una serie di impressioni: la sua debolezza fisica, il senso di abbandono e di solitudine, la rappresentazione di un corpo sofferente e della lotta interiore della giovane nel sopravvivere, la sua volontà di resistere, ritorni vitali che seguono le più riprese e ricadute dettate dalla melodia e un’inevitabile resa. 

Nell’atto I, Violetta ha una vocalità scattante, vivida, gorgheggiante, che ci illustra una giovane dissoluta che frequenta la gaudente società parigina del Secondo Impero. Tale ambientazione è inoltre rafforzata anche dalle musicalità frenetiche e vorticosa di una “polka impazzita” – come l’ha definita lo studioso Emilio Sala – che rappresenta le scene corali dell’ambiente festivo e mondano. Un altro esempio dell’importanza dell’approfondimento psicologico perpetuato dalla melodia e della centralità della figura di Violetta è l’aria che chiude l’atto I, che funziona come un grande approfondimento interiore del personaggio. L’espediente musicale ci consegna infatti il suo conflitto interiore: le parole d’amore di Alfredo hanno scaturito in lei qualcosa, tanto che cita il suo tema d’amore. Improvvisamente, con un cambio melodico, c’è un ritorno alla realtà in cui Violetta si rimprovera di illudersi e, con un ulteriore cambio di melodia, che richiama un precipitoso valzer, Violetta si lancia in un canto apparentemente allegro e sfacciato, ma che altro non è che un tentativo di illudersi di poter annegare il proprio disagio nei vortici del piacere (come aveva finora fatto), ritraendosi dalla verità del sentimento d’amore, di cui credeva di non essere mai stata degna. Eppure, ancora una volta, ritorna il tema d’amore, cantato però da Alfredo fuori scena, come una reminiscenza dolcemente insistente. Ancora una volta Verdi ci restituisce una caratterizzazione profonda, potenziata dalla musica e dal canto. 

Nell’atto II la vocalità di riferimento per la protagonista cambia registro: Violetta da “gorgheggiante usignolo meccanico del primo atto diviene soprano drammatico”: ha preso coscienza di sé di fronte alla scelta tra l’amore che le ha dato vita nuova o la solitudine sofferta, il ritorno ad una vita infelice e una morte certa. Il suo stile di canto è dinamico e libero, scandito tra pianissimo e fortissimo, preso dal dolore profondo che comporterebbe l’allontanamento dal suo amato, e il tutto non solo rende la drammaticità del momento ma si contrappone chiaramente allo stile statico e misurato di Germont durante il loro duetto nell’atto II.

Il padre di Alfredo è caratterizzato nell’opera come l’anziano borghese legato all’habitus severo del perbenista conservatore; non è un caso che il suo stile musicale sia proprio quello tradizionalista, simile a quello delle melodie belliniane o donizettiane. Ha un tono composto e solenne, che risalta il suo carattere rigido e austero. Dunque, la musica rispecchia il personaggio: in lui parlano/suonano la convenzione, il contegno, la tutela della dignità borghese e del decoro familiare. Germont non coglie il dramma interiore di Violetta e vede l’amore tra i due giovani come banale infatuazione, accecato dalle proprie convinzioni e dalla sua morale conservatrice. Verdi in realtà non ci consegna il ritratto di un feroce antagonista, perché la sua azione risulta oggettivamente cattiva, ma soggettivamente buona. Del suo carattere non trapela nient’altro se non il suo conservatorismo: la sua funzione drammatica stimola una reazione nel personaggio di Violetta. La stessa funzione in realtà è ricoperta anche dall’altro personaggio principale, Alfredo. Basti pensare all’aria a lui affidata all’apertura dell’atto II: ci viene suggerito relativamente poco della psicologia del personaggio. Verdi non scava nella sua interiorità, perché (proprio come Germont) Alfredo influenza e crea delle reazioni in Violetta. Questa rimane una scelta dettata dal sistema espressivo-drammatico. Alfredo e Germont sono due personaggi fondamentali non per ciò che sono, ma per ciò che scaturiscono in lei, sono figure che esaltano la protagonista per le funzioni che esercitano su Violetta: da Alfredo si irradia la forza dell’amore, che la rigenera, da Germont si irradia la forza del destino nefasto, che distrugge la sua nuova esistenza. Sono catalizzatore nei confronti di Violetta, la vera protagonista di quest’opera verdiana. 

Andrea Bernard è uno dei più giovani registi attivi nel campo del teatro lirico. Nasce a Bolzano nel 1987, si laurea nel 2012 in Architettura, e comincia a lavorare nel mondo dell’Opera come assistente alla regia di Pier Luigi Pizzi, partecipando a più̀ di venti produzioni in Italia e all’estero (Roma, Ancona, Macerata, Venezia, Parma, Mosca, Astana, Pechino, Tenerife, La Coruna). Dal 2014 comincia a lavorare con registi come Keith Warner (Nabucco alla Deutsche Oper a Berlino), Julia Burbach (The Fairy Queen a Londra e Berlino), Tatjana Gurbaca (Die Zauberflöte a Zurigo) e assiste alla ripresa di Ariadne auf Naxos di Christof Loy alla ROH di Londra.

Il suo allestimento de La Traviata è stato vincitore del biennale contest di OperaEuropa nel 2016 e ha debuttato a Busseto (PR) in occasione del Festival Verdi 2017, per poi andare in scena al Teatro Comunale di Bologna tra Aprile e Maggio 2019. Dimenticate, però, l’ambientazione del Secondo Impero francese e i costumi d’epoca, perché il regista ha dato all’opera verdiana un’ambientazione contemporanea e un’interpretazione cinica e sprezzante: 

“Attraverso gli occhi dell’uomo di oggi ho fatto ciò che Verdi stesso cercò di presentare ai suoi contemporanei, prima che la censura intervenisse, mettendo in scena una Traviata che racconta la nostra società.”

Verdi, infatti, mise in scena un soggetto indecente: l’ambientazione da lui prevista doveva essere contemporanea, ma l’intervento della censura veneziana gli impose di adattare la rappresentazione ad un secolo prima (XVIII). Per il pubblico borghese sarebbe risultato scandaloso assistere ad un’azione tanto moderna come quella di una mantenuta che si redime con un sacrificio d’amore a dispetto della rappresentazione di una borghesia che li rifletteva sul palco.

Il regista Andrea Bernard continua:

“E così che l’amore egoistico e individualista tra Violetta Valerié e Alfredo Germont mosso esclusivamente da un puro tornaconto personale”.

Il regista ha parlato della centralità del tema della “mercificazione dei sentimenti” , che ha influito notevolmente sull’ambientazione contemporanea della sua messa in scena: l’atto I, infatti, si svolge all’interno di una casa d’aste, di cui Violetta è proprietaria (il nome è ironicamente Valery’s, che allude alle due grandi compagnie di mercato d’arte Sotheby’s e Christie’s), simbolo della “mercificazione dell’arte”, di una società corrotta che rende merce il sentimento al pari delle opere artistiche, dove tutto ha un prezzo, a discapito del proprio valore intrinseco. L’atto II invece si svolge all’interno di un appartamento moderno ma scarno, dai gusti minimalisti, a ribadire la povertà interiore dei personaggi. Infatti, Violetta e Alfredo, in questa regia non sono spinti da un sentimento d’amore, ma dall’egoismo. Il progetto del regista parte da un quesito essenziale: 

“Capita spesso di sentire persone incapaci di stare da sole, o che terminata una relazione ne cercano subito un’altra. A questi livelli dove sta il confine tra amore per l’altro e l’egoismo?”

L’anello di giuntura tra la mercificazione dell’arte e la mercificazione dei sentimenti è rappresentata da una foto, che ritrae la stessa Violetta semi nuda distesa su un letto con un uomo completamente vestito che poggia su di lei (l’opera è ispirata ad un iconico scatto dell’attore Johnny Depp e la modella Kate Moss, realizzato dalla fotografa Annie Leibovitz). Quest’opera sarà il fulcro di tutta la vicenda, poiché ricomparirà spesso nel corso della rappresentazione, come monito ridondante di quella mercificazione di sentimento/arte, prima comprata, poi rifiutata e alla fine rivalutata dopo la morte di Violetta.

La protagonista è una donna in carriera, proprietaria dell’omonima casa d’aste, mentre Alfredo è rappresentato come un uomo capriccioso e infantile. Il loro rapporto amoroso non sfocia mai in un sentimento forte e passionale, quanto più un rapporto algido e conflittuale, prettamente egoistico.

Nonostante alcune incongruenze (come giustificare in questa visione contemporanea il riferimento alla sorella di Alfredo che non si può sposare per la condotta scandalosa di Violetta, dal momento che questa ha una professione socialmente accettata?), la regia suggerisce l’idea della freddezza di un mondo artistico altolocato, legato all’apparenza di una vita agiata seppur vuota, caratterizzata anche dai bei costumi di foggia contemporanea firmati da Elena Beccaro.

La direzione musicale dell’Orchestra del Comunale di Bologna è affidata al maestro Renato Palumbo, che ha sottolineato l’importanza di ritornare al grande repertorio operistico con nuove proposte e novità, e ha infatti dichiarato:

“È una Traviata innovativa, ma ha delle basi drammaturgiche solide. Ho interpretato l’opera alle esigenze della regia e al tempo stesso ho lavorato sulla parola come faceva Verdi. Il compito del direttore è quello di vigilare, di essere garante della tradizione drammaturgica dell’opera e del rispetto musicale, il tutto considerando il lavoro, in questo caso innovativo, e al di là della visione del regista”.

Quella di Bernard è una sfida registica intellettuale e lucida, forte dei suoi concetti cinici e crudi, che va contro il sentimentalismo caratteristico dell’opera originaria verdiana. Rimane quindi da stabilire se il gioco del cinismo, seppur condotto con coerenza, valga l’allontanamento dichiarato dal modello ottocentesco.